Corpi Privati. Micro-strategie di addomesticamento dello spazio delle celle nel carcere di Buoncammino a Cagliari
Abstract
Il contributo si propone di ricostruire retrospettivamente una tassonomia di micro-meccanismi di “addomesticamento” e personalizzazione dello spazio delle celle disposte lungo i tre livelli del braccio sinistro dell'ex-carcere di Buoncammino, nel centro di Cagliari, messi in atto da parte dell'ultima coorte di detenuti ospiti della struttura, ormai chiusa. Una ricognizione sul campo e una puntuale documentazione fotografica dello stato di questi ambienti, per molti versi rimasti come cristallizzati nel momento della loro dismissione, il 23 Novembre 2014, ha consentito di rilevare le tracce persistenti della loro fruizione, che evocano in modo ancora intensamente leggibile le strategie di individualizzazione delle modalità di permanenza in essi esperite dai reclusi. In condizioni segregative massimamente vincolanti e dotate di ridotti gradi di libertà espressiva, la relazione tra disposizione ed esposizione dei corpi nella metrica di questi luoghi riesce comunque a preservare margini di eterogeneità, dettati dagli oggetti decorativi consentiti e lì abbandonati, dai tratti segnici incisi nelle pareti, atti a marcare l'unicità del proprio soggiorno obbligato tramite messaggi o riproduzioni grafiche di suppellettili indisponibili, dai colori applicati per contrastare la dominanza del grigio e del verde spento degli spazi comuni. Il rigido controllo eteronormato e il disciplinamento biopolitico dei corpi custoditi nelle celle, privati di gran parte delle proprie capabilities multisensoriali, in termini di opportunità prossemiche, di discrezionalità dello sguardo tra luce e buio, di gestione termica delle percezioni tattili di freddo e caldo, sembra avere lasciato cionondimeno margini di adattamento individualizzato delle modalità dell'abitare il carcere. Queste ultime appaiono tuttora intensamente riecheggiate dai residui materiali reperibili a Buoncammino, e danno conto delle attribuzioni personali di senso ad esse impresse dai detenuti, spesso dolorose e difficilmente rimarginabili attraverso nuove destinazioni d'uso ipotetiche, nonostante lo spazio minimo della contenzione – la cella, appunto – sia stato svuotato e “scorporato” da ormai quasi 6 anni.
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PDFDOI: https://doi.org/10.14633/AHR375
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ISSN 2384-8898
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