Memorie del vuoto apparente. Ambiance, sguardi e percezioni dal carcere di Buoncammino a Cagliari
Abstract
La città narra sé stessa attraverso la sua costituzione fisica, la sua immagine spaziale e le sue ambiances, atmosfere sensibili e sintesi delle percezioni multiple che l’esperienza urbana produce. E, d’altra parte, l’urbano trova la sua identità significante attraverso l’uso e le pratiche, le memorie stratificate, individuali e collettive e in costante divenire. Da questo ancestrale rapporto dialettico e rappresentazionale tra società umane e spazi urbani, emergono configurazioni spaziali “generative”[1] legate agli intensi effetti determinati dall’interazione tra spazi, percezioni, luoghi, memorie, pratiche. Il vuoto (di senso più che nella trama costruita) assume, in questa visione, una doppia chiave interpretativa: da un lato è ciò che permette di cingere con i sensi la materia sedimentata, dall’altro si interpreta come mancanza, assenza di vita e di attività. Ma questo è solo apparente. La memoria resiste nel vuoto, custodisce e rinvia, si svela allo sguardo attento e si mostra capace di indurre rinnovate significazioni.
Le grandi fabbriche urbane dismesse, e tra esse le carceri, racchiudono un patrimonio ricco di storie; possiedono una memoria, legata alle esperienze, ai fatti, ai racconti, alle suggestioni. Indotta dall’evocazione di alcune esperienze sensibili, ciò che segue è una narrazione multifocale del carcere cagliaritano di Buoncammino e del suo intorno, oggi grande vuoto apparente in attesa di nuovi (o vecchi) significati.
[1] Massey 1994
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PDFDOI: https://doi.org/10.14633/AHR370
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Copyright (c) 2023 Maurizio Memoli, Ester Cois, Andrea Manca

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ArcHistoR è una rivista open access e peer reviewed (double blind), di Storia dell’architettura e Restauro, pubblicata dall’Università Mediterranea di Reggio Calabria con cadenza semestrale.
ISSN 2384-8898

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