I turisti del passato in Calabria: qui "si patisce e si gode"

Simonetta Valtieri

Abstract


Una particolare chiave interpretativa dei caratteri del territorio calabrese agli occhi dei viaggiatori del passato ruota intorno all’espressione «si patisce e si gode», a esso riferita dall’abate Giovanni Battista Pacichelli nella sua celebre opera Il regno di Napoli in prospettiva, pubblicata a Napoli nel 1703 sulla scorta di una sistematica ricognizione compiuta circa dieci anni prima. Infatti, a partire dal bolognese Leandro Alberti, nel 1525, nei racconti degli antichi “turisti” i disagi patiti a causa dei difficili collegamenti interni, che costringevano a privilegiare quelli via mare erano compensati dal godimento dell’eccezionalità delle risorse paesaggistiche, di cui spesso i centri abitati erano spesso considerati parte integrante.
Solo a partire dalle cronache di viaggio di Henry Swinburne, giunto in Calabria nel 1777, i parametri di giudizio da una parte si aprirono a una precoce attenzione al folklore popolare, dall’altra assunsero connotati critici di matrice illuministica verso il sistema feudale e i monopoli (del re e dei feudatari), interpretando il comportamento “diverso” degli abitanti della regione, non come segno d’incultura, ma di una cultura diversa. Mentre nel Voyage pittoresque, i testi scritti dall’abate Saint-Non sulla base del diario di Dominique Vivant Denon capo della sua spedizione transitata in Calabria due volte, nella primavera e nell’autunno del 1778, riflettono l’essenza del paesaggio della regione come il frutto di un miracoloso equilibrio tra la natura e l’opera dell’uomo.


Parole chiave


Calabria; turisti; viaggio

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DOI: https://doi.org/10.14633/AHR093

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